Ettore Muti
Ettore Muti nasce a Ravenna  il 22 maggio 1902, figlio di una casalinga e di un impiegato dell'anagrafe. A soli 13 anni viene espulso da tutte le scuole del regno per aver preso a pugni un professore. Non si scompone molto per questo fatto e a 14 anni scappa di casa per andare a combattere nella Prima guerra mondiale ma i carabinieri lo rispediscono a casa. L'anno seguente ci riprova e riesce ad entrare negli arditi.
Al fronte si distingue per le imprese spericolate e per la sua audacia. Si rende famoso un giorno quando il reparto di 800 uomini al quale appartiene viene mandato a formare una testa di ponte sulla riva di un fiume da attraversare. Il suo gruppo riesce nell'impresa ma quando alla fine arriveranno i rinforzi degli 800 partiti ne rimangono solo 23, tra i quali Muti stesso.
È D'Annunzio che conia per lui l'appellativo di Gim dagli occhi verdi durante l'esperienza fiumana al quale Muti partecipa divertendosi come un matto. Infatti si combatte poco e lui si esibisce in imprese spericolate che hanno più del circense che del soldato. Sempre D'Annunzio dirà di lui: "Voi siete l'espressione del valore sovrumano, un impeto senza peso, un'offerta senza misura, un pugno d'incenso sulla brace, l'aroma di un'anima pura".
È in questo periodo che incontra Mussolini  del quale rimane subito affascinato. Dopo l'esperienza di Fiume, Muti aderisce al Fascismo comandando parecchi assalti e venendo arrestato parecchie volte. Il 29 ottobre 1922 sarà alla testa dei fascisti che occuperanno la prefettura di Ravenna durante le operazione della Marcia su Roma.
Dopo la presa del potere dei fascisti Muti inizia una carriera nella Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale. Nel 1923 è comandante della coorte di Ravenna e nel 1925 diventa console.
La sua vita è sempre spensierata e irrequieta. Organizza feste, frequenta belle donne, sfreccia per le strade con auto sportive, scorrazza con la sua Harley Davidson. Nel settembre 1926 si sposa con Fernanda Mazzotti figlia di un banchiere che non è d'accordo con le nozze. Nel 1929 nascerà la sua unica figlia, Diana.
Il 13 settembre 1927 Muti rimane vittima di un attentato nella piazza principale di Ravenna dove un bracciante noto per le sue idee di sinistra (tale Massaroli) gli spara 2 volte al braccio e al ventre. Il federale Renzo Morigi (medaglia d'oro nel 1932 nel tiro alla pistola alle olimpiadi di Los Angeles) allertato dagli spari giunge sul posto e fredda immediatamente l'attentatore.
Muti giunge all'ospedale in fin di vita dove nella notte viene operato. I medici giudicano scarse le probabilità che si salvi. Invece se la caverà ma gli resterà come ricordo una cicatrice di 20 cm nel ventre. Uscito dall'ospedale continua la sua vita spericolata condita da vari incidenti automobilistici e in seguito viene spostato a Trieste dove comanda la terza legione della milizia portuale. Qui non si trova bene e continua a scappare a Ravenna. Però a Trieste incontra il Duca Amedeo d'Aosta che lo convince ad entrare nell'aeronautica.
L'Arma Azzurra segna per lui una svolta: Gim si appassiona subito del volo, e pur di entrare in aeronautica, accetta il declassamento al grado di tenente. In Etiopia mette subito in luce le sue capacità nonostante la scarsa professionalità degli avversari. Le sue dimostrazioni di bravura verranno premiate con due medaglie d'argento. Nelle fasi finali del conflitto entra nella squadriglia Disperata con Ciano, di cui diventerà grande amico, Farinacci e Pavolini.
Nel 1936 torna in Italia da eroe ma poco dopo parte alla volta della Spagna dove, con lo pseudonimo di Gim Valeri, guida la sua squadriglia bombardando i porti spagnoli, guadagnandosi varie medaglie d'argento e, nel 1938, una d'oro. Dalla Spagna torna con il soprannome di Cid alato ma soprattutto con l'Ordine Militare di Savoia.
Nel 1938 parte per l'Albania dove si guadagna, alla guida delle truppe motorizzate, un'altra medaglia che lo fa diventare il più bel petto d'Italia.
Tornato dall'Albania, Ciano lo propone come segretario del partito. Come segretario non si trova a suo agio, pur potendo ottenere praticamente ogni cosa. Col pretesto di andare la dove c'è bisogno riesce a evadere dal suo ruolo di segretario per andare a combattere, col grado di tenente colonnello, la guerra voluta da Mussolini. Combatte prima in Francia, poi nei cieli d'Inghilterra con grande valore, ma si accorge subito che la guerra è stata affrontata con colpevole approssimazione e leggerezza. Lascia quindi la segreteria del partito e smette di frequentare i gerarchi, perdendo quella fiducia che riponeva nel Duce e anche l'amicizia che aveva con Ciano.
Nell'estate del 1943 entra nel Servizio Informazioni Militari (il servizio segreto militare) e inizia a frequentare un'attrice cecoslovacca di nome Edith Ficherova, in arte Dana Harlova che si spaccia per una contessa ma che probabilmente è una spia tedesca o inglese.
Il 25 luglio, giorno della caduta di Mussolini, Muti è in Spagna per cercare di recuperare un radar da un aereo americano precipitato. Rientra a Roma il 27 luglio per poi ritirarsi in una villetta a Fregene. La notte tra il 23 e il 24 agosto 1943 un tenente dei carabinieri si presenta con altri colleghi alla villa di Muti con l'ordine di arrestarlo. Il gerarca segue i carabinieri nella pineta, cosa sia accaduto dopo ancora oggi è un mistero. Il primo commento ufficiale è dell'agenzia Stefani:
A seguito di un accertamento di gravi irregolarità nella gestione di un ente parastatale, nel quale risultava implicato l'ex segretario del disciolto partito fascista, Ettore Muti, l'arma dei carabinieri procedeva nella notte dal 23 al 24 agosto al fermo del Muti a Fregene. Mentre lo si conduceva alla caserma sono stati sparati dal bosco alcuni colpi di fucile contro la scorta. Nel momentaneo scompiglio egli si dava alla fuga ma, inseguito e ferito da colpi di moschetto sparati dai carabinieri, decedeva.
Le gravi irregolarità di cui si parla non furono mai chiarite e nemmeno chi sparò i colpi dalla pineta. Nella drammatica sparatoria l'unico ad essere raggiunto dai colpi fu Ettore Muti, il cui berretto, recuperato fortunosamente dalla famiglia e tuttora esistente, reca due fori di proiettile: uno sulla parte posteriore, in corrispondenza della nuca, l'altro davanti, che attraversa la visiera. Diverse altre circostanze confermano la tesi dell'esecuzione politica dello scomodo personaggio, primo caduto della guerra civile in Italia, definito da Badoglio "una minaccia" in una lettera spedita poco prima al capo della polizia Senise.
Dopo l'armistizio la figura di Muti fu celebrata dai fascisti di Salò che lo considereranno un martire dei cosiddetti "traditori badogliani". Il suo nome resterà per sempre legato ad una tra le più temute Brigate Nere della Repubblica di Salò, responsabile di numerosi crimini di guerra.


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